L’outsourcing

L’Outsourcing è uno degli strumenti manageriali di carattere tattico e strategico che ha conosciuto un notevole sviluppo negli ultimi anni e che si configura in maniera crescente come necessario alla sopravvivenza delle imprese in un sempre più complesso e mutevole mercato.

“Outsourcing” è un termine di origine inglese (derivante dalla contrazione di “outside resourcing”) dal significato letterale di “approvvigionamento esterno” indicante la pratica di ricorrere, da parte di imprese e di enti pubblici (outsourcee), ad altre imprese (outsourcer) per lo svolgimento di alcune parti dei propri processi di produzione o di alcune fasi dei processi di supporto.

È rilevante come questa assegnazione della gestione operativa di una o più funzioni aziendali, in precedenza svolte all’interno, debba essere stabile, duratura e legata ad un contratto; ne deriva pertanto una partnership tra l’azienda che esternalizza e quella già presente nel settore in qualità di specialista la quale ha piena responsabilità dei risultati relativi alle funzioni a lei assegnate. Tale responsabilità di risultati è un forte elemento di novità ad esempio in relazione alla forma di collaborazione Time&Material dove è l’acquirente ad essere responsabile della performance mentre il fornitore offre solamente i materiali. Questa relazione è profondamente strutturata ed è fondata su rapporti sia di mercato che collaborativi. La Everest Europe Group, società statunitense specializzata nella consulenza relativa alla creazione del valore tramite outsourcing e nella ricerca, lo descrive come un’alleanza strategica temporanea basata sul riconoscimento delle reciproche competenze, sulla volontà di instaurare una collaborazione di lungo raggio nonché sulla mutua disponibilità ad agire con trasparenza e correttezza.

In particolare quest’ultimo aspetto si configura alla luce del fatto che le due imprese ricopriranno un vero e proprio ruolo di partner contraddistinti da comuni interessi e obbiettivi invece che il più tradizionale rapporto, a volte conflittuale, cliente/fornitore: si ha infatti il coinvolgimento strategico del fornitore nei piani di sviluppo di lungo termine del cliente. Si tratta quindi di un affidamento esterno strutturale, non occasionale, di attività non rientranti nel “core business” dove con quest’ultima espressione intendiamo tutte quelle operazioni strategiche e processi produttivi che la contraddistinguono sul mercato e vanno a soddisfare lo scopo principale dell’organizzazione.

L’outsourcing è dunque interpretabile come un distacco totale o marginale da attività non core. La scelta di natura logica di trasferire a terze parti servizi ed attività interne ad un’azienda viene inquadrata nell’ottica di un fabbisogno strutturale dipendente dalle scelte aziendali di medio termine e dalla struttura permanente piuttosto che da quello temporaneo legato ad eventi del breve termine. Sono poi molte le sue sottocategorie potendo andare a coinvolgere svariate funzioni aziendali ed innumerevoli attività più o meno vicine al core business e più o meno complesse da gestire. La domanda che ci si potrebbe porre è perché non continuare ad utilizzare il termine “appalto”, adoperato da secoli in lungo e in largo nella lingua italiana? L’outsourcing, considerato dal nostro ordinamento come un negozio atipico, va ad individuare un tipo di appalto particolare, non legato ad esigenze temporanee, che non subordina l’assegnazione di un lavoro allo svolgimento di una normale gara tra soggetti che competono bensì solamente alle competenze e alla specializzazione degli outsourcer; il tutto nell’ottica della flessibilità e della parcellizzazione del lavoro.

Anche la parola “terziarizzazione”, alla luce del suo indicare i soggetti impiegati nel settore terziario, non riesce a rendere propriamente l’idea di questo fenomeno così complesso e allo stesso tempo diverso da quanto visto fino agli anni ’80 nel nostro paese. L’outsourcing non è l’unica forma di esternalizzazione esistente ma dalle altre si differenzia per le caratteristiche prima citate.

 

 

La subfornitura è la forma di gran lunga più diffusa e consiste nel contratto con cui un fornitore eroga un determinato prodotto o servizio al cliente o talune fasi del processo produttivo. Qui l’attenzione è principalmente rivolta ai costi, può riferirsi anche a periodi temporali piuttosto brevi e non si instaura alcuna collaborazione strategica. È sempre il committente a definire il contenuto della prestazione e ad assumersi il rischio connesso; la funzione del fornitore appare quindi come complementare.

La seconda forma, anche detta service contractingout, attiene all’affidamento di servizi specifici di supporto come quelli informatici o di consulenza. Il business process outsourcing invece è una particolare forma di outsourcing, che riguarda l’affidamento di interi processi rilevanti per l’azienda come l’information technology, human resources ecc. dove per processo si intende l’insieme di attività logicamente connesse che congiuntamente producono un valore per il cliente. Sviluppatasi sulla scia della globalizzazione e del mutamento dei mercati il motto dell’outsourcing, che vede come sue caratteristiche centrali e fonte di distinzione da altre più tradizionali la responsabilità dei risultati da parte del fornitore, l’orizzonte temporale lungo e l’instaurazione di una partnership, è infatti “far fare agli altri quello che sanno fare meglio di noi”, “a ognuno il suo mestiere”; cosa che in chiave di una migliore allocazione delle risorse disponibili porta ad aumentare l’efficienza e la qualità nonché ridurre i costi, specialmente quelli operativi.

È bene inoltre, pur essendo spesso presenti insieme, distinguerlo dall’offshoring riguardando questo secondo fenomeno principalmente l’aspetto geografico; attiene infatti alla dislocazione in paesi caratterizzati da minori costi ad esempio di manodopera di attività produttive le quali tuttavia restano in mano sempre alla stessa impresa. L’obbiettivo consiste prettamente nella riduzione dei costi anziché il poter focalizzarsi sulle core activities ed il lavoro continua ad essere svolto dai dipendenti dell’impresa. Tuttavia queste due scelte vengono spesso combinate come fece IKEA nel 2013 la quale strinse un accordo con l’azienda tedesca Wincor Nixdorf, specializzata nella fornitura di hardware, software e servizi associati, la quale nel biennio 2014-2015 installò dodicimila sistemi POS (point of sale) in trecento sedi del colosso svedese. La Germania non è il tipico esempio di paese protagonista del fenomeno dell’offshoring come invece ad esempio l’India (specialista nell’”accogliere” delocalizzazioni relative all’ICT) o la Cina per via dei loro bassissimi costi di manodopera ma tale accordo può essere considerato a tutti gli effetti un esempio di offshoring-outsourcing.

 

Attualmente nella realtà italiana e non solo la consapevolezza su come l’acquisire dall’esterno i servizi generali e l’avere una struttura il più possibile flessibile siano presupposti di rilievo per avere successo è particolarmente diffusa a livello management. Lo dimostra una ricerca condotta dal Benchmarking Club di Business International, azienda italiana esperta nell’informazione, formazione e consulenza, la quale evidenzia come il 93% delle decisioni di esternalizzare siano prese a livello di top-management. Alcune resistenze sono da segnalare sia all’interno della struttura gerarchica dell’impresa sia all’esterno; spesso infatti sono i dirigenti di funzione ad essere in disaccordo con tale scelta poiché, affidando all’esterno una certa procedura, si potrebbero ritrovare con un minor potere. All’esterno invece i sindacati frequentemente si oppongono per il timore che i lavoratori interni vedano ridursi il loro lavoro e la loro importanza con conseguenze chiaramente negative. L’Outsourcing si è comunque andato a configurare e lo fa tutt’oggi non come una moda manageriale localizzata e temporanea, ovvero destinata a durare un arco di tempo molto ristretto, bensì come un fenomeno mondiale di più ampio raggio, pur non essendo ovviamente alcun processo eterno, ed essendosi manifestate delle controtendenze rappresentate da imprese totalmente integrate.

 

In Italia il passaggio da un’impresa fortemente integrata al decentramento produttivo lo si ebbe negli anni ’70, messo in moto dal notevole incremento dei salari nelle grandi realtà a causa della presenza dei sindacati, cosa che spinse le grandi imprese a ricercare costi minori in realtà più piccole. Un secondo impulso si è avuto negli ultimi decenni a causa della sempre maggiore competizione e dell’avvento della globalizzazione.

 

Esempi noti di outsourcing nel nostro paese sono quello di Eni il quale ha esternalizzato i servizi informatici e la Fiat che nella realizzazione di un’auto sfrutta le partnership con innumerevoli aziende, ciascuna specializzata nel produrre componenti ad alta tecnologia e qualità. Ad esempio nella Fiat 500 quasi tutte le parti giungono dall’esterno a partire dal 9 sistema ABS fornito da Bosch fino ad arrivare ai freni forniti da Brembo. Non si ha tuttavia solo il coinvolgimento delle grandi aziende e della pubblica amministrazione bensì anche delle PMI che rappresentano un’elevata quota delle imprese nel nostro paese e le quali fanno particolarmente ricorso a consulenti e liberi professionisti.

Il 2012 è stato un anno considerato come una svolta nel trend delle esternalizzazioni, che ha visto il 56% delle piccole e medie imprese considerate aver fatto ricorso all’outsourcing ed aver aumentato la spesa dedicatagli della percentuale record del 72%; l’indagine è stata svolta dalla piattaforma Freelancer.com che ha utilizzato un campione di 2000 aziende italiane di questo tipo che hanno scelto di affidarsi a soggetti esterni per lo sviluppo e la manutenzione di reti informatiche e telematiche, la gestione e l’elaborazione di dati nonché per attività di segreteria e pareri legali. Interessante è la tendenza delle piccole imprese italiane con meno di 50 dipendenti, le quali non hanno una funzione del personale dedicata, di affidarsi ad operatori esterni per la gestione dei processi di HR, al fine di garantire maggiore flessibilità all’organizzazione nonché in particolare di accedere a competenze e know-how specialistici che consentano loro di migliorare l’efficacia e la qualità dei servizi erogati. Esternalizzare i servizi di gestione delle risorse umane permette inoltre di risparmiare una non indifferente porzione del budget annuale delle PMI.

Nonostante il ricorso all’outsourcing sia in crescita, l’Italia, dove il suo mercato è guidato da pochi e grandi contratti ed è dominato dall’ICT, resta molto dietro i principali paesi europei i quali a loro volta seguono gli Stati Uniti dove si registra una ben più elevata adozione. Il valore dei contratti di outsourcing risulta essere pari ad una bassa percentuale del PIL mentre è ben maggiore in Inghilterra la quale viene a sua volta superata dall’ America. In ambito europeo oltre al Regno Unito i paesi che esternalizzano molto sono Spagna e Finlandia, specialmente servizi IT, con invece Svezia, Danimarca e Norvegia che si posizionano nel lato opposto della classifica essendo i paesi le cui imprese puntano maggiormente sulla realizzazione interna di attività ed operazioni. In merito alle industrie si distinguono quella dei beni di consumo e dell’auto. I grafici si basano sulla ricerca condotta da Ernst&Young, società nota per i suoi servizi di consulenza e revisione.

 

Si nota poi un’interessante analogia tra i primi paesi nell’esternalizzare servizi e quelli a cui spetta il primato nell’outsourcing di parti del core-business; il che evidenzia una maturità in tale ambito superiore a quella degli altri paesi dettata dalla volontà di operare con partner per creare vantaggio competitivo, nonostante i rischi associati ad una strategia di questo genere siano ben più superiori.

 

 

Gettando un occhio al futuro le più recenti previsioni sui trend attesi relativi all’outsourcing vedono un massiccio uso della tecnologia RPA (robotics process automation) che, oltre ad automatizzare e velocizzare sempre più processi, libererà l’essere umano dall’incombenza di svolgere compiti e mansioni molto delicati così come dai costi ad esse associate. È particolarmente adatta ad operazioni caratterizzate da una grande mole di dati e non necessita la realizzazione di strutture particolari. La spesa per i servizi RPA proveniva e continua a farlo tutt’ora principalmente da parte dell’industria finanziaria, delle telecomunicazioni e dei viaggi, e ci si aspetta che la sua entità cresca ancora. Notevole come nella ricerca condotta da Deloitte sull’outsourcing, il 70% delle grandi aziende intervistate sta correntemente implementando o valutando l’uso di RPA7. Secondo trend in crescita è la protezione di dati sensibili che assumerà un ruolo ancor più rilevante di quello che ricopre oggi.

Tra i motivi la quantità di dati sensibili in costante aumento, frequenti e sofisticati attacchi hacker e stringenti norme e regolazioni (ad esempio la GDPR dell’Unione Europea). Si renderà pertanto necessario lo sviluppo di sistemi di sicurezza molto complessi che verranno affidati ad outsourcer specialisti. Inoltre emergerà maggiormente la necessità di personale specializzato nelle tecnologie IT così come, secondo molte previsioni, l’America latina e l’Europa daranno del filo da torcere alla fino ad ora favorita India. In particolare l’Europa dell’est per via dei bassi salari, delle diffuse competenze nell’area Stem (science, technology, engeneering and matemathics) e gli incentivi governativi risulta essere molto attraente rappresentando per le aziende basate in Europa una conveniente possibilità di nearshoring. Analizzando poi l’attualissima questione del rispetto dell’ambiente e della sostenibilità notiamo come il numero di outsourcee che richiedono la presenza di specifiche garanzie ai fornitori in questo senso sia in forte crescita, nonostante la porzione di contratti nei quali non figura ancora alcun elemento di sostenibilità resti piuttosto elevata.

 

 

Credits: Alessandro Rollo

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